TESTIMONE ELOQUENTE
La Sindone rimane il testimone più eloquente della crocifissione e della risurrezione, poichè il suo legame con i racconti della Passione è strettissimo. Essa infatti è icona dell’amore di Dio per gli uomini e ci richiama continuamente alla meditazione del mistero storico-salvifico della Passione, morte e resurrezione di Gesù Cristo, fondamento della fede cristiana. Le lesioni visibili sull’impronta dell’Uomo sindonico costituiscono una testimonianza molto preziosa dell’antichissima pratica della crocifissione.
La «sindone» è storicamente un tessuto di lino che un personaggio di rilievo, uno dei 70 membri del Sinedrio giudaico, Giuseppe di Arimatea, acquista per avvolgere la salma del maestro cui aveva aderito, Gesù.
Il segno evangelico della sindone rimanda alla radicale fraternità del Figlio di Dio con la nostra realtà di esseri mortali e limitati (è quella che chiamiamo l’«incarnazione»), con le stimmate di una sofferenza lacerante e di una morte tragica. Ma lo sguardo interiore è invitato ad andare oltre il lenzuolo in sé e a cercare il Cristo glorioso, colui che vive per sempre.
Il sacro lino parla allo spettatore di oggi, a lui è rivolto lo stesso appello angelico indirizzato alle donne poste di fronte al sepolcro vuoto: «Perché cercate tra i morti colui che è vivo? Non è qui, è risorto!» (Luca 24,5-6).
Il discorso sulla sindone invita a risalire a una dimensione trascendente che va oltre la sua materialità. Come scriveva il filosofo tedesco Friedrich W.J. Schelling (1775-1854), lo storico deve «custodire castamente la sua frontiera», senza pretendere di varcarla dimostrando o negando l’altro territorio che è quello della teologia e della fede (e naturalmente anche viceversa).
COPIA DALLA TERRA SANTA
Tra le testimonianze devozionali nei confronti della Sindone risultano particolarmente interessanti dal punto di vista storico le riproduzioni del Lenzuolo in grandezza naturale.
Si stima che nel tempo ne siano state prodotte circa 150, due terzi dei quali ancora oggi esistenti. La realizzazione della copia integrale del sacro Lino era strettamente connessa alla percezione della fisicità della figura impressa sul Lenzuolo, rendendo la dimensione effettiva dell’immagine sinodica. A rinforzo del ruolo e significato proposto, spesso tali copie venivano poste a contatto con l’originale o con i luoghi santi, trasformando l’oggetto in una “reliquia da contatto”.
In linea con il movimento francescano dell’Osservanza, volto alla ricerca di una spiritualità più radicale, è il pregevole Telo raffigurante il corpo di Cristo che il vescovo Francesco Maria Rhini (1676-1696) porterà ad Agrigento dopo il suo viaggio in Terrasanta.
Il Telo riporta un’iscrizione che ne ricostruisce il suo pregio. La sacralità di questa rappresentazione risiede nell’essere rimasta a giacere per sei anni presso il Santo Sepolcro e dunque più venerabile per il duplice contatto della vera Sindone, oggi esistente presso il Duca di Savoia.
Il valore profondo del manufatto non risiede tanto nella traditio delle “copie della Sindone” ma nel contatto con il Santo Sepolcro, trasformando il manufatto in una venerabile reliquia.
Iscrizione:
VENLIS EFFIGIES SACROSANCTAE SIDONIS D.N.I.XPI SED BINO VENERABILIOR VERAE SYNDONIS CONTACTU APUD DUCEM SABAUDIAE HODIE EXISTENTIS QUAM REDENPTORIS SEPULCRO IN QUO SEX ANNIS REPOSITA IACUERAT. EDUCTAM F.M. F.R FRAN(CUS) M(A) RINI EPUS AGNUS JEROSOLIIMIS DELATAM AGNAE ECCLAE CONCESSIT.