Beato Rosario A. Livatino

La vita del servo di Dio

Nato a Canicattì (AG) il 3 ottobre 1952 e compiuti gli studi di giurisprudenza nell’Università di Palermo (1975), ha prestato inizialmente servizio come vicedirettore presso l’Ufficio del Registro di Agrigento (1977-1978). Entrato in magistratura presso il Tribunale di Caltanissetta (1978), ha ricoperto la carica di sostituto procuratore presso il Tribunale di Agrigento (1979-1989) e successivamente quella di giudice a latere.
Nell’esercizio della professione, come nella vita personale, ha incarnato la beatitudine di «quelli che hanno fame e sete della giustizia» e che per essa «sono perseguitati» (Mt 5,6.10), mettendo pienamente a frutto il dettato conciliare sull’apostolato dei laici, sulla scorta dell’esperienza maturata in seno all’Azione Cattolica.
La preghiera costante e la quotidiana partecipazione al mistero eucaristico, insieme alla solida educazione cristiana ricevuta in famiglia e corroborata dalla meditazione assidua della Parola di Dio e del Magistero della Chiesa, hanno fatto di lui un autentico profeta della giustizia e un credibile testimone della fede, in un momento storico e in un contesto sociale tristemente segnati da una mentalità antievangelica e, sotto diversi aspetti, disumana e disumanizzante.
Con una coscienza profondamente libera dall’asservimento alle logiche umane e dai compromessi con i poteri forti di turno, caratterizzata da un’altissima levatura morale e da uno spiccato senso del dovere, si è consacrato “sub tutela Dei” a restituire dignità a un territorio ferito e offeso dalla mentalità e dalla prassi mafiose, annunciando il Vangelo attraverso la lotta all’ingiustizia, il contrasto della corruzione e la promozione del bene della persona e della comunità.
A pochi giorni dal suo trentottesimo compleanno, ha infine sigillato il suo prezioso ministero con il martirio, avvenuto il 21 settembre 1990 per mano di locali cosche mafiose, mentre si recava a svolgere il suo lavoro in tribunale.
Raccogliendo le molteplici attestazioni di santità a suo carico, il 19 luglio 2011 la Chiesa Agrigentina ha avviato il processo diocesano di beatificazione, che si è aperto ufficialmente il 21 settembre dello stesso anno nella chiesa di San Domenico in Canicattì e si è concluso il 6 settembre 2018. Dopo la solenne celebrazione di chiusura, che ha avuto luogo il successivo 3 ottobre nella Chiesa di Sant’Alfonso in Agrigento, gli atti del processo, integrati da un’inchiesta suppletiva, sono stati trasmessi alla Congregazione delle Cause dei Santi per i successivi adempimenti, che si sono finalmente conclusi con l’approvazione del Santo Padre.
Il Rito di Beatificazione avrà luogo nella Basilica Cattedrale di Agrigento il prossimo 9 maggio.

Scritti del giudice

Luogo del martirio

La guerra di mafia, l'agguato e il martirio

"In quegli anni a Canicattì e in tutto il territorio agrigentino la situazione sociale era scossa da una vera e propria 'guerra' di mafia, che vedeva contrapposti i clan emergenti (denominati Stiddari) contro Cosa Nostra, il cui padrino locale era Giuseppe Di Caro, che abitava nello stesso condominio del Servo di Dio".

"Il 21 settembre 1990, il Servo di Dio venne ucciso in un agguato, sulla strada statale 640 che conduce da Canicattì verso Agrigento, mentre viaggiava da solo, in automobile, per recarsi in Tribunale, dove lavorava".

Cosa Nostra lo chiamava "il santocchio"

"La motivazione che spinse i gruppi mafiosi di Palma di Montechiaro e Canicattì a colpire il Servo di Dio - prosegue la nota - fu la sua nota dirittura morale per quanto riguarda l’esercizio della giustizia, radicata nella fede. Durante il processo penale emerse che il capo provinciale di Cosa Nostra Giuseppe Di Caro, che abitava nello stesso stabile del Servo di Dio, lo definiva con spregio santocchio per la sua frequentazione della Chiesa. Dai persecutori, il Servo di Dio era ritenuto inavvicinabile, irriducibile a tentativi di corruzione proprio a motivo del suo essere cattolico praticante. Dalle testimonianze, anche del mandante dell’omicidio, e dai documenti processuali, emerge che l’avversione nei suoi confronti era inequivocabilmente riconducibile all’odium fidei. Inizialmente, i mandanti avevano pianificato l’agguato dinanzi alla chiesa in cui quotidianamente il Magistrato faceva la visita al Santissimo Sacramento".

"La fama di martirio del Servo di Dio perdura sino ad oggi ed è accompagnata da una certa fama di segni".

Fonte Avvenire